Io no, ma invece i caprioli hanno proprio tutto ciò occorre per cavarsela in caso di nevicate abbondanti: La pelliccia folta e abbondante, le unghie fesse che permettono di muoversi anche nella neve alta 20-30 centimetri e nell’ultima settimana tutto intorno all’Eremo di Camaldoli la foresta era diventata candida e gelida. Sulle prime la temperatura era scesa all’improvviso fino a -5, poi era risalita e la neve a larghe falde non si era fatta attendere. Tutto era piombato nel silenzio e, non appena la temperatura si era stabilizzata sullo zero tondo, aveva cominciato a fioccare come si doveva. I caprioli – dicevo – hanno le ‘calzature’ più adatte a muoversi nella neve alta che, a causa del vento simile alla bora, si era spostata di qua e di là, aveva formato dune e canali, interrotto ruscelli, ammantato tronchi e rami, raccogliendosi fitta e spessa verso nord. Le strade erano tutte bianche perché gli spazzaneve erano impegnati a valle.
I due caprioli maschi mi comparvero davanti, ridicoli per quei cornetti ancora tutti coperti dal ‘velluto’ e, quasi senza timore, mi accompagnarono per un bel tratto, fino quasi davanti alla porta della casetta della ‘vecchia’, così la chiamavano in paese a Soci e – cosa strana perché è risaputo che a Soci tutti urlano quando parlano – abbassavano la voce quando la nominavano e se ci fosse stato un bambino nei paraggi, ti avrebbero fatto cenno che non se ne doveva parlare. Come sempre, io non facevo caso a queste cattiverie e m’ero fatto indicare dove abitava la vecchina. Così l’andavo a trovare di tanto in tanto e le portavo qualcosa da mangiare di tenero perché si sa i denti a una certa età o ci abbandonano o, se rimangono, cominciano a danzare e non ne vogliono più sapere di compiere il loro dovere.
Nives, così scopersi che si chiamava, era indaffarata nelle sue cose ed io non le feci domande, ma avevo bisogno del suo aiuto perché mi avevano raccontato che conosceva un rimedio contro l’orzaiolo e all’occhio destro me n’era venuto uno ed era fastidioso. Lo so che siete curiosi e che vi piacerebbe sapere di più, ma io ci tengo a che la ‘vecchina’ venga lasciata in pace, per questo vi dirò che anche il nome che le ho dato è di fantasia e non vi svelerò nemmeno che vive dalle parti della Pieve di Romena…che non vi venga voglia di andarla a cercare.
Così, dopo un cammino un po’ faticoso a causa della neve alta e dopo che i due caprioli mi avevano fatto compagnia per un po’ e poi mi avevano lasciato solo, mi si parò dinanzi la casetta, con il fumaiolo in piena attività, piccola, linda e in ordine, con il tetto ben curato, le tegole antiche ma sane e tutto intorno un bel cornicione di rame, perché si sa che il rame è il meglio che si possa utilizzare per tutto ciò che deve stare a contatto con l’acqua e le intemperie. Nives mi fece accomodare e rimanemmo per un po’ senza parlare a fissare il fuocherello che scoppiettava nel piccolo camino e quel camino chissà quante storie del Casentino aveva sentito raccontare. Poi mi disse: «Per questo tuo fastidio io ti posso aiutare, ma devi ritornare qui domattina con una spagnoletta di cotone rosso e un ago». Mi venne istintivo di chiederle cosa avrebbe dovuto farci, ma mi trattenni anche se ero un po’ timoroso: Certo non mi avrebbe punto o cucito la palpebra, che diamine! Ritornai l’indomani mattina con il necessario e allora lei mi fece sedere con le spalle al fuoco e mi si accomodò davanti. Tutto era silenzio intorno, solo il vento muoveva i rami degli alberi vicini e faceva scricchiolare il legno secco, ma io posso giurare di aver sentito come una nenia antica, mentre la mano piccola e delicata di Nives si muoveva veloce davanti al mio occhio arrossato, descrivendo delle croci nell’aria, dopo che lei aveva infilato in un colpo solo – perché gli occhi le funzionavano ancora e molto meglio dei denti – il filo rosso. Mi ‘segnò’ più volte l’occhio – senza mai toccarmi, ovviamente -, poi reinserì l’ago nel cotone, avvolse il filo e mi riconsegnò tutto, dicendomi grave: «Riconsegnalo dove l’hai preso». Ora si può pensare a una pratica pagana, una magia sortita fuori chissà da quale libro d’incantesimi, ma, mentre facevo ritorno nella mia celletta, mi sovvenne che in realtà quello che lei aveva fatto era una semplice benedizione ripetuta con il segno della croce. Fatto sta che la mattina dopo mi svegliai e l’orzaiolo non c’era più, era scomparso e l’occhio stava meglio di prima.
Abbiamo già parlato del Burro di Karité, dell’Acqua di Rose, ora voglio dirvi che se la vostra pelle la vedete arida e spenta, vi accorgete che ha perso corpo e lucentezza e le rughe non potete sopportare, non c’è di meglio che usare l’Olio di Rosa Mosqueta. Ma che sarà mai?! Niente di esotico, anche se viene per lo più dal Cile: Si tratta dell’olio che si estrae dai cinorrodi di Rosa Canina – dei quali sono molto ghiotti gli orsi – all’interno dei quali sono alloggiati i semi. Proprio spremendo quei semini si ottiene un olio poco denso, nobile e dal colore tenue, pressoché trasparente. Voi non avete idea delle meraviglie che quest’olio può fare. Se lo usaste per una settimana di fila, ogni sera, al posto della crema da notte, un’ora prima di andare a letto per non lasciarlo tutto sul cuscino, stendendolo con le dita e massaggiando intorno agli occhi e su tutto il viso ed il collo, vi accorgerete che gli inestetismi della cute si attenueranno se non addirittura si cancelleranno; che ridurrà la profondità delle rughe, ricomponendo le smagliature, togliendo i punti neri, addirittura allevierà e schiarirà le cicatrici: Insomma è ‘miracoloso’ davvero.
Ora, per non tirare per le lunghe, vi abbraccio e vi saluto tutte e tutti e spero che mi leggerete ancora fra qualche giorno sempre qui, sul BLOG dell’Antica Farmacia: ho intenzione di presentarvi altri prodotti da usare in inverno. Tanti Auguri di Buon Anno!
Firmato: un monaco dell’Eremo di Camaldoli