Il vecchio monaco con la lunga barba candida arrancava nella neve alta mezzo metro, aiutandosi con un lungo e nodoso bastone. Scivolava quasi ad ogni passo perché sotto il primo strato di neve covava insidioso il ghiaccio e sembrava dovesse cadere rovinosamente a terra da un momento all’altro. Mi avvicinai e gli offrii il braccio, ma lui, senza guardarmi, fece un gesto di pudore e si ritrasse, da troppo tempo rifuggiva qualsiasi contatto fisico. La capperuccia oscillava conferendo eleganza al suo incedere guardingo. Non volle toccarmi, ma mi rivolse la parola con dolcezza e sottovoce, indicando l’abetina che faceva corona all’antico e venerabile Eremo di Camaldoli.
– È questo il tempo giusto -, fece, con lo sguardo astuto;
– Per cosa? -, gli domandai incuriosito.
Con un sibilo simile al rantolo di un moribondo mi rispose:
– La galaverna…- E nei suoi occhi balenò un bagliore azzurrino, come il ricordo di mille battaglie contro innumerevoli gelidi inverni.
– La galaverna? – Insistetti.
– Sì -.
Si sedette su un mezzo tronco, dopo averlo liberato dalla neve e cominciò a raccontare, nonostante il freddo pungente. Fui subito catturato dalla soavità della sua voce e dalle sue parole argute. Viviamo in un mondo dove si ripetono all’infinito parole già ascoltate, come se all’improvviso fossimo tutti diventati dei pappagalli ammaestrati; le parole del vecchio monaco invece no, quelle erano nuove, inaudite.
– La galaverna -, mi disse ancora e quel bagliore rianimò per un istante i suoi occhi stanchi, – è un ricamo prezioso di ghiaccioli e neve che madre natura stende fra i rami degli alberi, facendosi aiutare dal vento, talmente freddo che taglia la faccia! Quando tutto è raggelato e attonito per il grande inverno che sempre viene a riposare sui nostri monti -.
Mi disse poi della grande cerva gravida che gli era apparsa davanti all’improvviso, allontanatasi dal folto della foresta per brucare un po’ d’erba, nelle rare prode dove la neve dava tregua e della sua fuga precipitosa, dopo un attimo di sorpresa. – Deve appartenere all’harem del Re della foresta -, aggiunse; – il vecchio cervo maschio che fa rimbombare il suo bramito nel mese di ottobre fra il Tramazzo e l’Acquacheta; lì intorno è tutto un cozzare di corna, ma lui, il re, non ne ha bisogno, non deve più combattere, poiché tutti i rivali ne riconoscono la superiorità ed il diritto a coprire le sue cinquanta spose, onde perpetuare la sua stirpe. Quasi fosse uno dei patriarchi della Genesi -.
Così, quella sera mi ritrovai a ripercorrere il suo divagare, mi venne in mente che c’è un rimedio antichissimo, magari le vostre nonne ve l’hanno insegnato, per proteggere la pelle, rinnovarla e darle tono: è l’Acqua di Rose. Dovete sapere che la regina dei fiori è molto avara del suo nettare: mezzo quintale di petali basta appena per ricavarne un grammo striminzito di olio essenziale. Il processo per ottenerlo è la distillazione in corrente di vapore, pratica antichissima che veniva eseguita già a Damasco tanti secoli orsono. Ancora da lì infatti, dalla Siria martoriata da dittatori crudeli e dalla guerra, viene il nettare più prezioso, quello della rosa damascena appunto. Il suo profumo sa di buono, di biancheria appena stirata, d’infanzia dorata, trascorsa ad ascoltare novelle della nonna, incantati, ripercorrendo, una ad una, le rughe bellissime di chi ci ha amato tanto. L’Acqua di Rose (si ricava dall’idrolato, il secondo prodotto della distillazione, insieme con il prezioso e raro olio essenziale) è prima di ogni altra cosa un tonico molto efficace, significa che vi tende e vi stira l’epidermide, il sottilissimo strato corneo che madre natura ci ha donato come prima difesa della pelle. Ma le donne la possono usare tranquillamente anche come struccante e per pulire a fondo. Decongestiona inoltre la pelle arrossata, la schiarisce e la protegge. Poi se ne può fare anche una maschera di bellezza, in un modo molto semplice e rilassante. Si prende dell’ovatta di puro cotone e la si riduce in sottili canovacci di due/tre centimetri, inumiditi con l’Acqua di Rose, li si stende sulla pelle, coprendo tutto il viso, tranne gli occhi e le narici (vi raccomando di coprire anche le labbra) fino giù giù al collo e si mantiene la maschera molto umida spruzzandoci sopra altra Acqua di Rose in quantità.
Ora, per non tirare per le lunghe, vi abbraccio e vi saluto tutte e tutti e spero che mi leggerete ancora fra qualche giorno sempre qui, sul BLOG dell’Antica Farmacia: ho intenzione di presentarvi altri prodotti da usare in inverno.
Firmato: un monaco dell’Eremo di Camaldoli